San Pietro Infine: un paesino in provincia di Caserta, incastonato tra Molise e Lazio, alle pendici del monte Sambucaro. La Storia, con tutte le sue atrocità, è passata proprio di qui.
Una storia relativamente recente: poco più di settant’ anni fa, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. San Pietro Infine fu completamente distrutta per “colpa” proprio della sua posizione.
La Storia
Il paesino era divenuto uno dei capisaldi della linea Reinhard, avamposto difensivo tedesco pensato allo scopo di rallentare l’ avanzata Alleata proveniente dalla Sicilia e da Salerno, mentre si terminava di fortificare pesantemente la linea Gustav, pochi chilometri più a Nord, verso Cassino.
E per capire perché i tedeschi avessero scelto proprio San Pietro Infine per acquartierarsi e resistere, basta arrivare ai piedi delle attuali rovine, dopo aver lasciato in basso nella valle le nuove case costruite nel Dopoguerra: dalla piazza del vecchio paese lo sguardo spazia per chilometri in tutte le direzioni, sulla Casilina, nelle altre valli, su tutti gli angoli da dove la quinta Armata americana, provenendo da Sud Est, sarebbe prima o poi arrivata.
Ed un cannone ormai fuori uso puntato verso la valle rende perfettamente l’ idea.
Ma era appunto solo un’ idea.
La Quinta Armata arrivò nei pressi di San Pietro Infine nel dicembre del 1943.
Quindici giorni di bombardamenti da terra e dall’ aria fecero capire ai Tedeschi che non era cosa.
Ma non fu affatto facile, e la stessa durata della battaglia sta lì a testimoniarlo.
La battaglia di San Pietro Infine
Le bombe ridussero in polvere il paese, con la popolazione – che aveva in gran parte rifiutato di allontanarsi – rintanata in grotte e costretta a sopravvivere in condizioni inumane, senza cibo, senza acqua, al buio, senza servizi igienici e con la paura addosso.
Gli Alleati avanzarono a fatica su un terreno aspro ed infido, tenuti sotto tiro dai nemici in alto. Oltre centocinquanta furono i loro morti (più duecentocinquanta dispersi e oltre mille feriti); incerto è il conto delle vittime tedesche. Tra i civili, invece, i morti furono centotrentacinque, su una popolazione di circa millecinquecento anime.
Furono giorni terribili.
Fonte: http://www.ibiblio.org/hyperwar/USA/USA-MTO-Salerno/img/USA-MTO-Salerno-p287b.jpg
I film
John Huston, che era John Huston, trasse da quella battaglia un documentario crudo ed essenziale che potete vedere interamente qui.
Inizialmente, gli Americani non erano per niente convinti che il documentario dovesse essere reso pubblico: troppo crudo e tropo imparziale nella documentazione dell’ alto costo della battaglia, dei problemi di intelligence e di coordinamento delle truppe, e delle difficoltà incontrate.
Furono necessari molti tagli e l’ intervento dell’ allora Segretario di Stato John Mashall (sì lo stesso del Piano Marshall) per permetterne la distribuzione.
Ma San Pietro Infine sembra attrarre particolarmente gli uomini di cinema. Sarà per la sua posizione e la spettacolarità delle sue rovine, sarà per l’ aura drammatica della sua storia. Quindici anni dopo John Huston, ecco il paese convertito nuovamente in set. Stavolta il regista è Mario Monicelli ed il film è La Grande Guerra. Vittorio Gassman ed Alberto Sordi i principali interpreti.
San Pietro Infine oggi
Il presente di San Pietro Infine è fatto di rovine e di un parco della memoria che ha aperto con grandi ambizioni; ma il giorno in cui sono andato a scattare le foto che vedete in questo articolo il museo era chiuso, il paese era assolutamente vuoto. L’ hotel “W. Churchill” aveva bene in mostra la sua insegna e le indicazioni per la reception, ma con una presenza di ospiti che sembrava essere prossima allo zero.
Niente visite guidate, dunque. In fondo è una fortuna, perché così ho avuto modo di assaporare il paese nel suo totale abbandono.
Lungo la strada acciottolata che sale ad anfiteatro verso il paese non ci sono più soldati e mezzi corazzati, solo silenzio e ronzio di insetti che mi accompagna anche mentre seguo quel che resta delle vecchie strade a gradoni.
La visita
Case sventrate dalle bombe ed invase dalle piante. Da ogni angolo sembra ancora possibile che spunti un fante col fucile. Certo l’ immaginazione vola in questo silenzio irreale, nel quale si sentono solo i passi di qualche pecora vagabonda.
Le rovine sono rimaste le stesse. E’ solo la vegetazione ad essere cresciuta, ad aver invaso un panorama che al termine della battaglia era solo macerie e fumo.
Attraverso l’ arco dove un tempo c’ era la taverna del paese e mi trovo davanti alle rovine di casa Compagnone, che all’ interno conserva ancora una pressa per il vino. E chissà, forse quel vino di strada ne faceva davvero poca, giusto quei metri che dividevano la casa dalla taverna.
Come tanti compaesani, i Compagnone sono emigrati, e dall’ America ricordano ancora le pietre del vecchio paese.
Il villaggio è dominato dalla mole della chiesa visibile praticamente da ogni punto dell’ (ex) abitato. Anch’ essa semidistrutta. Oggi è in restauro e non ho potuto vistarla, ma il suo profilo spedisce la mente verso scene di fede popolare. E di guerra.
In un angolo, le grotte, dove donne, vecchie e bambini trascorsero settimane tremende di paura e di morte, senza sapere cosa stesse succedendo nel mondo là fuori da dove provenivano i boati. Ci si può entrare, ed una volta dentro non si riesce a stare dritti.
Passeggiando lungo queste deserte strade acciottolate, non ho potuto evitare di pensare a coloro che proprio oggi stanno soffrendo ciò che i sanpietresi soffrirono settant’ anni fa. Penso alla Siria, all’ Ucraina , a ciò che successe nella ex Jugoslavia giusto pochi lustri fa.
Villaggi fantasma come San Pietro Infine sono sparsi in tutto il mondo, monumenti involontari all’ atrocità di ogni guerra.
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Complimenti, un’altra delle tue sempre preziose perle di viaggio nello spazio e nel tempo su scenari che, alle solite, il turismo piatto e banale non prende neppure in considerazione.