E' una giornata senza pretese / E non ci succede una volta al mese (Vinicio Capossela)
A volte un solo giorno libero può riservare momenti di intensa epifania e liberarti anche se solo per un breve iato dalle angosce del tempo che viviamo.
Scelgo di trascorrerlo tra le colline che intersecano il confine tra Campania e Basilicata, questo giorno libero.
Ancora non lo sapevo, ma sarebbe stato l’ ultimo giro in libertà concesso per i mesi a venire.
Da lì in poi restrizioni e zone variamente colorate avrebbero reso impossibile ogni spostamento.
E’ una mattina di primo autunno, viste verde intenso su quelli che Vinicio Capossela chiama i paesi dei coppoloni.
Viti, ulivi, la nebbiolina che inizia a diradarsi e la luce del sole che illumina di giallo il paesaggio. Calitri si staglia netta dall’ altra parte della valle dell’ Ofanto, poi la strada continua a piegarsi lungo l’ Appennino, sfiora Rapone e le sue fiabe fino ad arrivare a San Fele che se ne sta adagiato in una minuscola conca tra due speroni di roccia.
Le cascate di San Fele
Da queste colline nasce un torrente che alla fine andrà a tuffarsi nell’ Ofanto. Si chiama Bradanello e per scendere giù alla valle dove lo aspetta il fratello maggiore deve fare un bel po’ di salti. Alcuni sono concentrati proprio tra queste balze.
Sarà questa epifania o più probabilmente che è un giorno lavorativo di primo autunno, ma le cascate di San Fele oggi sono tutte per me, con unico rumore lo scroscio dell’acqua.
La prima che incontro si chiama Cascata degli Innamorati. L’ acqua fa un bel salto e ad attenderla c’è un placido laghetto verde. Perché ha questo nome la cascata? Non lo so, e non sono riuscito a scoprirlo neanche su internet. Le targhe lungo il sentiero non lo spiegano. E allora bisogna lavorare di immaginazione…..
Nei secoli passati quest’ acqua in continuo movimento è stata utilizzata per scopi pratici: faceva funzionare i mulini ma anche le gualchiere, macchine che servivano per lavorare la lana.
“U uattënniérë” (la gualchiera) è il nome della seconda cascata che incontro. Nei pressi ci sono anche i resti del vecchio opificio, che ha funzionato fino ad un’ ottantina di anni fa. La pozza d’ acqua alla base della cascata qui è ancora più larga. D’ estate ci si può fare il bagno, con vista sul borgo di San Fele.
Poi via, distrattamente, per una terra di briganti e castelli. Non c’è tempo per approfondire, ci sono state altre occasioni, ce ne saranno ancora.
Castelmezzano
E ad un uscita di galleria ci si ritrova inaspettatamente di fronte allo spettacolo di Castelmezzano. Picchi brulli ed aguzzi sovrastano un paese di tetti rossi e stradine acciottolate.
Nel silenzio di un giorno senza turisti, neanche il fruscio dei cavi del Volo dell’ Angelo; si sente distintamente la brezza infilarsi tra i rami degli alberi.
Castelmezzano si sta già attrezzando per l’ inverno, che qui non deve essere dolce. Le legnaie sono piene di tronchi ben allineati. Le stradine sono vuote le saracinesche abbassate. Il paese è quasi tutto per me e lo attraverso tutto fino al castello normanno e alle basi delle falesie. Da qui partono i sentieri attrezzati. Ferrate e ponti tibetani. Un’ altra volta forse.
Di fronte c’è Pietrapertosa. Il mezzo più veloce per raggiungerla non è certo l’ automobile. La strada principale è interrotta da tempo, ed i due paesi sono collegati da una stradina che si insinua tra le colline, e che spesso nasconde buche traditrici. Forse ci vuole meno tempo a piedi, seguendo il Percorso delle 7 pietre.
C’è una storia di pietra lunga duemila metri e anche di più.
E’ una storia di racconti e di visioni.
Di segni impressi lungo il percorso delle sette pietre.
Dice di quelle donne, le masciare, che si ungevano con l’olio fatato raccolto nella cavità di un albero di ulivo.
Dice di quando attraversavano la notte sulla groppa di cani bianchi.
Racconta di Vito, il contadino, e di quando, preso da fattura d’amore, ballava con le streghe.
Ma sicuramente il mezzo di trasporto più veloce è quel cavo d’ acciaio che continuo a vedere costantemente sopra o sotto di di me. Il Volo dell’ Angelo.
Pietrapertosa
La vista di Pietrapertosa è meno emozionante di quella di Castelmezzano. Sarà perché non è più una sorpresa: l’ ho vista comparire e scomparire ad ogni curva della strada. Sarà che l’ abitato è più grande, con una parte moderna ben visibile. Non è abbracciato dalle Dolomiti Lucane. C’è solo una gran falesia calcarea. Ma proprio in mezzo al paese.
Scoprirò presto che se la vista di Pietrapertosa è meno affascinante, la vista da Pietrapertosa è straordinaria!
Il campanile romanico della chiesa madre di Pietrapertosa è attraversato da un arco che lascia passare le rare automobili e qualche altro mezzo agricolo. Dentro ci sono tele e affreschi, arte lucana rinascimentale; e c’è una cripta. Vorrei entrare mentre la porta laterale sta per chiudersi. Ma il sagrestano è irremovibile: la chiesa è chiusa. Pazienza, ce ne faremo una ragione.
Continuo a passeggiare per le vie strette del borgo antico, salendo e scendendo scale, arrampicandomi in pratica lungo la parte di falesia addomesticata dall’ uomo. Aspetto che si faccia sera, aspetto l’ incanto che arriva al tramonto quando dall’alto si guarda giù: le prime luci gialle si accendono ed il paese si gode l’ ultima luce prima del tramonto. Poi scende l’ ombra blu e tutto sembra un presepe.
Vivere è una tela di cose Con cui riempire i lunghi intervalli Tra un momento e l'altro di felicità
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