Monopoli, città di mare e chiese.
Ogni angolo, infatti, nasconde una chiesa, nel centro storico di Monopoli. Ne ho contate almeno una dozzina.
Una, la Chiesa Rettoria di Santa Maria del Suffragio, a fare concorrenza al Barocco della Cattedrale, proprio di fronte.
Sotto le volte di passaggio si affacciano riproduzioni di immagini sacre “a divozione” del sopravvissuto di turno. In una città che ha sempre affidato la sua ricchezza al mare, gli scampati non dovevano essere pochi. Dal mare veniva la vita e poteva venire anche la morte. La salvezza ha sempre un che di soprannaturale.
Questo Adriatico che si intramezza tra le due sponde ed è stato nei secoli ponte o confine per commerci e religioni, genera lasciti comuni lungo la costa.
E così anche a Monopoli vive la tradizione del miracoloso approdo di un’icona. Una Madonna venuta dal mare. Vergine naufraga, che si assumerà l’ onere di proteggere gli abitanti della comunità, tutti potenziali naufraghi, visto il loro mestiere di pescatori o marinai.
La leggenda racconta che intorno al 1100 l’ immagine sacra sia apparsa miracolosamente nel porto della città a bordo di una zattera costituita da enormi travi di legno; proprio quelle che mancavano al vescovo Romualdo per completare le capriate del tetto della cattedrale, all’ epoca in costruzione.
Questi miti fondatori legati al mare, collegamento ideale con il mondo sacro bizantino dall’ altro lato dell’ Adriatico, sono presenze costanti nella cultura popolare pugliese. Si ritrovano con poche varianti lungo tutti i paesi della costa. La Madonna della Libera di Rodi Garganico. La Madonna della Fonte di Trani. La Madonna dei Martiri di Molfetta. La Madonna di Costantinopoli a Bari. La Madonna della Serra di Tricase. La Madonna della Fonte di Conversano e via andare.
Appena fuori dalla città, i lidi dispensano consolazioni di sabbia a prezzi variabili, su un litorale non molto dissimile da quello di Rimini.
Si ricostruiscono anche sulla rena i rapporti economici di potere della vita. I più abbienti hanno diritto a cuscino e tavolino sul bagnasciuga. Per i proletari ci sono le retrovie. Nel mezzo, la borghesia si accalca presso la riva aspirando senza immediato successo a cuscini e tavolini.
In città la pietra riluce di colori diversi durante il giorno, dal bianco abbagliante fino ai caldi colori pastello del tramonto. Plinti di pietra si appoggiano alle antiche mura, sembrano quasi tratteggiare una volta che introduce al labirinto dei chiassi e dei larghi. Dietro le porte verdi dei bassi la vita fermenta, tra panni stesi ad asciugare ed una bestemmia in dialetto.
Ma non ci sono odori nel centro storico di Monopoli, neanche avvicinandosi al porto di pomeriggio, quando i pescherecci sono di ritorno. Tra i vicoli predomina l’ omologazione ad uso turistico. Aperitivi pieni di ghiaccio ed acqua di fronte ai colori emozionanti di un tramonto di primavera. Menù sofisticati con improbabili mescolanze di sapori.
Vuoi assaggiare la tiella, quella straordinaria mescolanza di riso patate e cozze? Prova da un’ altra parte. Hai voglia di gustare l’ impronunciabile (correttamente) merosche, la zuppa di pesce povera fatta con quello che non poteva essere venduto? Non c’è nei menu, ritenta. In compenso misticanze, tataki di tonno in tutte le salse, fantasie di pesce, spaghetti monograno e tranci di salmone.
Può capitare però anche l’ orgoglio malcelato di un ristoratore che si avvicina perché mi vede disorientato e dopo avermi fornito spiegazioni, adocchiando la fotocamera appesa al collo mi fa “Se le piacciono le antichità venga che le faccio vedere una cosa”.
Mi mostra antichi capitelli in restauro, un locale con volta a botte.
“Qui non potrei portarla perché è ancora un cantiere della Soprintendenza”.
Un pavimento che lui afferma essere del Quattrocento. Ed io non posso che dargli fiducia.
È orgoglioso e gentile il ristoratore: appena i lavori saranno terminati ed otterrà tutti i permessi, quell’ ambiente riscoperto sarà il centro del suo locale.
Dai lavori di restauro sta emergendo anche una patina di colore che ricopre i capitelli di un bellissimo blu cobalto. È una perfetta integrazione alla palette di azzurri che ti attende pochi metri oltre, verso il vecchio porto e gli spalti del castello, che danno direttamente sul mare.
I colori ed i chiaroscuri, infatti, a Monopoli non mancano.
Girovagando, anche se continui a non percepire odori, ci si imbatte comunque in angoli di genuinità, come l’antro sovraffollato di cianfrusaglie di nonno Peppino, che ti promette piccoli oggetti ricordo in cambio di birre. Un ritratto di padre Pio in cambio di una Peroni sembra una transazione giusta. Per il faro in miniatura che si illumina con i led forse ci vorrà qualcosa in più. Un’ Ichnusa?
C’è anche il signore di mezza età che sugli scogli del porto elimina la sabbia dalle vongole ed altri frutti di mare. Utilizza una bacinella e l’ acqua salata che gli sta intorno. Un minutino di rotazioni energiche e il contenuto del catino si ricopre di melma marroncina. Rapido filtraggio tramite scolapasta e via di nuovo, finché l’ acqua di mare non resta pulita e trasparente nel contenitore.
Parla in una lingua incomprensibile con alcuni suoi sodali, poi quando mi avvicino incuriosito mi spiega che venderà i molluschi puliti a qualche ristoratore.
“Così mi guadagno dieci euro per la giornata. Ma questo è un lavoro da fare alle cinque di mattina, non con il sole che ti batte sulla testa”
Solo che oggi ha avuto dei contrattempi ed è potuto scendere a mettere i piedi a mare solo così tardi.
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