“Lei è italiano, vero?” mi chiede il proprietario, sguardo levantino, barba nera e dolcevita dello stesso colore, appena apro la porta del negozio di souvenirs.
“E come ha fatto a capirlo subito?” rispondo io stupito.
“Una faccia, una razza” e sorride.
Indeciso se considerarlo un insulto o un benvenuto mi informo sulla sua così improbabile conoscenza dell’ Italiano. Ha studiato a Perugia, parte della diaspora studentesca greca del ventesimo secolo. Dopo la laurea però ha preferito tornare a gestire il negozio di famiglia nel paesino.
Kastraki è un piccolo villaggio, più tranquillo e riservato rispetto alla vicina Kalambaka, che ha una stazione ferroviaria ed è il punto d’ arrivo dei pullman di linea e della maggior parte dei turisti che voglio visitare le Meteore
Inoltre, mentre Kalambaka sorge al limitare della piana della Tessaglia, Kastraki invece è già oltre, proprio all’ ingresso della valle che raccoglie un paesaggio quasi metafisico: imponenti torri di arenaria sulla cui sommità sorgono antichi monasteri che sembrano stati trasportati lì da una forza aliena, non costruiti da uomini.
Le Meteore
Santi, anacoreti, asceti, semplici monaci: nel corso dei secoli in tanti hanno vissuto qui, hanno tratto dalla pace di questi panorami la concentrazione per opere mirabili.
Al tempo del massimo splendore, su questi cocuzzoli sorgevano ventiquattro monasteri. Solo sei sono sopravvissuti al tempo ed alle distruzioni degli uomini e sono tuttora attivi, riportarti in vita dopo i saccheggi di Albanesi, Ottomani, Nazisti ed anche Italiani.
“Parlare di Meteore è un esercizio di allontanamento dalla vita moderna”, racconta un sito di viaggi.
Cinquant’ anni fa, qui si girava a piedi o a dorso di mulo. I monasteri erano semidisabitati o del tutto abbandonati. Se vi soggiornava ancora qualche monaco, bastava suonare il campanello, e si era accolti e rifocillati; piacevole e raro diversivo ai giorni solitari di preghiera.
Oggi l’ esercizio di allontanamento dalla vita moderna consiste nel raggiungerli in automobile.
Ci arrivi in un uggioso pomeriggio di ottobre, con i monasteri che spuntano dalle nuvole «come avamposti in una landa polare» e se ne stanno sulle loro cime “come tante Arche sul loro Ararat privato”. Immediatamente ti rendi conto di quanto avesse ragione P.L. Fermor a definire il turismo, «la più pericolosa invasione dai tempi di Serse»: la realtà è fatta soprattutto di torpedoni in lunghe sequenze.
Atmosfera mistica? Centinaia di turisti in fila per scendere dai bus, in fila per pagare il biglietto, in fila per entrare nelle anguste cappelle (ma niente foto, quelle sono vietate, altrimenti come vi vendono le cartoline), in fila lungo gli impervi sentieri e le ripide scalinate.
Parcheggiare, pagare i tre euro per ogni monastero e poi andare a mangiare e dormire da qualche parte prima di partire e fare spazio ai prossimi. Il turismo dei pullman, delle comitive coreane, delle folle di pensionati.
Così fanno soldi albergatori e fittacamere, noleggiatori di veicoli di qualsiasi tipo, agenzie turistiche. Ed i monaci.
E potrebbe in fondo anche andare bene, a volersi accontentare. Solo che una volta entrati, gran parte di ogni monastero non è visitabile. Nei più grandi c’è un museo; vi fanno vedere una cappella, vi fanno affacciare a guardare il panorama è poi c’è il negozio di souvenir. Voglia di misticismo? Bisogno di assistenza spirituale?
Io i monasteri li ho visitati tutti ma di monaco ne ho visto solo uno, e andava pure abbastanza di fretta.
Ero al Monastero della Santa Trinità. Mi ero fermato davanti all’ argano di legno che un tempo serviva a trasportare monaci e merci su e giù per la falesia.
Un gancio di ferro arrugginito ed una rete di canapa dalle maglie grosse, ben stesa per terra e fermata da una pietra tonda. Sembrava un gigantesco polpo a riposo.
Avviluppati come tonni in questa rete, i monaci entravano ed uscivano dal monastero. Sospesi lungo l’ alta falesia, con la loro vita affidata ad una corda di canapa.
Sono anche queste le emozioni che avvicinano all’ ascesi.
Non era una faccenda di comodità. Le scale che si usano oggi per raggiungere i monasteri sono state scavate nella roccia da meno di cento anni. Prima, quel rudimentale ascensore era l’ unico modo per raggiungere la cima. Una questione di sicurezza in tempi di invasioni di nemici politici e spirituali.
Oggi quegli argani di legno e quelle corde di canapa sono solo un pezzo da museo. Oggi ci sono le teleferiche. Motori elettrici e cavi di acciaio. Sempre e solo per i monaci, però.
I turisti paganti salgono a piedi.
Questi pensieri furono interrotti dall’ arrivo di un monaco, barba lunga, vestito completamente nero, una gran croce che gli pendeva sul petto. Con l’accenno di un sorriso mi chiese da dove venissi.
Un Italiano non può essere un Ortodosso, deve aver pensato dopo la mia risposta. Perché il sorriso si spense subito e la fretta del sant’ uomo aumentò. Scomparve dietro una porta.
Anche senza monasteri, la valle ha un proprio fascino quasi metafisico.
Col calare della sera, le pietre sembrano prendere vita, assumere sembianze proprie. Lampeggiano scorci di film di fantascienza.
Dall’ alto si vedono immensi alieni in tuta spaziale osservare le auto che passano. Una torre alta ed elegante ride di me a crepapelle.
Di giorno e con il sole le ombre sono nette, decise. Anneriscono il fondo valle e si insinuano nei crepacci tufacei. A volte concedono un minimo di frescura a chi è impegnato nella risalita a scalini verso l’ ingresso dei monasteri. Nascondono rovine abbarbicate in cima ad uno sperone o nascoste in un anfratto. Erano altri edifici sacri. Grandi, o semplici rifugi di eremiti, in ogni caso posti dove la contemplazione mistica della natura aiutava ad avvicinarsi a Dio.
Per riuscire ad assaporare un minimo di questa estasi ascetica, mi sono dovuto arrampicare fino al monastero più vicino a Kastraki, ma anche uno dei più faticosi da raggiungere.
Ci sono ottanta metri da risalire quasi in verticale per arrivare alla sommità della torre di arenaria dove sorge il monastero di San Nicola Anapausas.
Forse è anche per questo che la folla era poca.
Il monastero sembra più largo della falesia che lo ospita, quasi una sua gigantesca efflorescenza.
In cima, una bella, piccola chiesa, tanto silenzio. Dalla terrazza, così in alto sentirsi quasi più vicini al Paradiso, si vedeva solo il cielo e dalla valle laggiù non arrivava nessun rumore. Si potevano sentire chiaramente le salmodie dei monaci. Registrate. Ma contribuivano all’atmosfera.
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Wow! Where is this place? I couldn’t translate and was too lazy to look up the words. Is it a monastery in Italy? Great photos!
Wow Karen, thank you!
This is not in Italy but in Greece. Hope to have enough time to write an article about it in English too.
Best regards from Italy.