“Questo è proprio il vero, profondo Maramures” mi confida Daniel mentre volge a me il suo sguardo sempre attento, distraendosi per un attimo dal panorama.
Maramures
Splendidi prati e fienili nel silenzio; gli alti Carpazi sfumano bluastri a distanza nella nebbiolina del primo mattino.
Daniel, fotografo di Bucarest, ama davvero queste vallate parallele divise da colline verdissime che d’ autunno sono costellate di covoni di fieno. Ci viene spesso, grazie alla sua attività di fotografo per la Mocăniţa, ed è così che l’ ha scoperto, innamorandosene.
Il Maramures è l’ angolo dimenticato della Romania. Una delle sue regioni più povere ed isolate, sulla quale il tempo si è riversato ad ondate, lasciando, nel ritirarsi, etnie diverse a condividere le valli abitabili. Ungheresi, Ucraini, Tedeschi, Rom e finanche Armeni si dividono le terre basse. Assieme ai Romeni naturalmente. Tutto il resto è montagna e foreste, lupi ed orsi. Più oltre c’è l’ Ucraina. Qui non ci sono industrie, l’ economia si basa sull’ agricoltura e sullo sfruttamento delle immense foreste che ricoprono i Carpazi. Fieno e legname, ecco i prodotti di questa terra.
Cattive strade e treni lenti collegano questa regione con il resto della Romania. Il soffio dei tempi qui arriva indebolito dalla distanza. In treno o in automobile, il risultato non cambia, le ore che dividono questa regione da Bucarest sono sempre più della metà di un giorno.
Ma grazie a questo isolamento, il Maramures è diventato il museo etnologico della Transilvania, il posto dove si conservano ancora usanze altrove scomparse, i costumi tradizionali, modi arcaici di misurare le distanze.
Antiche tradizioni
Questo lo scopro seduto ad una tavola imbandita, dopo la palincă di chiusura di un pasto abbondante. Avevamo da poco salutato una famiglia di contadini intenti a raccogliere barbabietole tra i covoni di fieno. Qualche foto e due chiacchiere, ma io potevo solo ascoltare senza capire. Sentivo però spesso risuonare una parola con un suono simile a palmo. Una volta soddisfatte le esigenze dei nostri stomaci, chiedo a Daniel di quel suono.
“Parlavano del loro palmo di terreno, palmă de pământ”.
Non è solo un modo di dire; nel Maramures si usano ancora unità di misura tradizionali, collegate alle misure del corpo umano. Tutto ciò che è più o meno lungo un metro è râf, ovvero l’ apertura delle braccia di un adulto. Cot è un cubito, ovvero la distanza dal gomito alla punta delle dita. Invece țol è la lunghezza dell’ ultima falange del pollice, cioè più o meno due centimetri e mezzo. Infine palmă equivale all’ ampiezza di una mano con la dita estese. Palmo di terreno è una metafora per un piccolo appezzamento, un lusso da queste parti, dove le terre coltivabili sono poche e dove i confini di proprietà restano incerti dopo la fine della collettivizzazione forzata dei tempi del Comunismo.
Autunno nel Maramures
L’ estate è finita e con essa se ne sono andati anche i turisti.
Sono passate anche le prime due settimane di settembre, il tempo in cui si miete il fieno per la seconda volta. I nuovi pagliai si susseguono su ogni versante, tanti puntini gialli sulle colline. E puntini più scuri in continuo movimento. Sono i contadini. Qui di trattori ed altri mezzi meccanici ce ne sono veramente pochi. Il lavoro si fa in gran parte a mano.
Ricordate quel gioco della Settimana Enigmistica? Bisognava unire i punti per ottenere un disegno.
Ecco, sul fondo verde delle colline del Maramures i punti sono gialli e si uniscono con la fantasia. Basta spostare – con gli occhi – una linea ed il disegno si ricompone. Il gioco si fa onirico ed affascinante, si potrebbe andare avanti per sempre, in un silenzio da tempi antichi, rotto solo dagli uccelli e dai versi delle galline, anche a bordo strada. Automobili, infatti, ne circolano poche ed il mezzo di trasporto più comune è ancora il carro a cavalli.
Carri, cavalli ed internet
In giro se ne vedono di tutte le dimensioni, dai piccoli carretti dove due persone stanno strette strette a farsi trainare da un cavalluccio magro e quasi malfermo sulle gambe, agli enormi carri per il trasporto del fieno, trainati da animali giganteschi e muscolosi, sui quali i contadini quasi si perdono, confusi tra le dimensioni e la gran quantità di paglia trasportata.
Sembrano allegri, intorno a mezzogiorno già di ritorno dal lavoro, fermi con i loro carri davanti un’ osteria ed insistono per dividere una birra con noi. Brindano alla mia salute, sorridono, non sono per niente timidi davanti alla macchina fotografica.
Poi ci salutiamo, e mentre me ne sto andando, il più anziano mi chiama e mi chiede qualcosa in Romeno che non capisco, ma due parole mi sono familiari: “Facebook? Internet?”.
Il vecchio vuole sapere dove può vedersi su internet! Gli lascio il mio biglietto da visita. Ed intanto che ripartiamo mi viene in mente che questa potrebbe essere davvero la definizione del Maramures: carri, cavalli ed internet.
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2 thoughts on “Maramures: carri, cavalli ed internet”