C’è un particolare aspetto dei paesaggi artici antropizzati che mi ha sempre colpito, sin da quando, bambino, sfogliavo gli atlanti e sognavo; e no, non sono gli iceberg ed i ghiacciai o la assoluta mancanza di alberi. Si tratta del fatto che le case sono costruite sempre direttamente sulla roccia.
A Tasiilaq gran parte delle abitazioni sono realizzate nei pressi del mare, su una serie di piccoli rilievi di granito appiattito dalle glaciazioni ma tuttavia durissimo da lavorare.
Il paese sorge in una conca che da un lato digrada lentamente verso il litorale del fiordo e dall’ altro si innalza invece verso le alte scogliere che guardano verso il Mar Glaciale Artico.
Nel mezzo di questa conca esiste una zona pianeggiante, sabbiosa ed abbastanza vasta. E sapete cosa c’è lì’? Il campo di calcio!
Le abitazioni seguono la linea di pendenza, dal fiordo su su verso il limitare della scogliera, e sono tutte costruite sulla roccia.
Nulla succede per caso. Anche gli Inuit obbediscono alla regola secondo la quale il modo migliore di realizzare un progetto è quello di utilizzare il minimo sforzo per ottenere la massima resa.
Ma fare un buco nel granito e non scavare nella pianura sabbiosa significa fare il minimo sforzo?
A questo punto dobbiamo fare conoscenza con il permafrost, la crosta terrestre eternamente gelata che – nelle zone polari – si trova immediatamente sotto il terreno che calpestiamo, ad una profondità variabile e che in Groenlandia è pari a poche decine di centimetri.
Si tratta in effetti dei residui delle antiche glaciazioni coperti da un sottile strato di humus. Detriti e roccia saldati assieme dall’ acqua ghiacciata a formare una massa compatta e solidissima, impossibile da lavorare con attrezzi manuali e con la pessima tendenza a liquefarsi nel suo strato superficiale se la temperatura si alza. E la temperatura si sta alzando, lo sappiamo.
Il ghiaccio compresso è ben più duro da lavorare del granito. Ma pensate un attimo a cosa succederebbe se qualcuno decidesse che vale la pena di investire in qualche quintale di dinamite per scavare le fondamenta nel permafrost ed avere la sua bella casa in pianura. Già il calore provocato dalle esplosioni e dagli scavi contribuirebbe e liquefare gli strati superficiali del permafrost, rendendo più difficoltoso il lavoro; ma poi, una volta terminata la costruzione cosa succede? Il terreno coperto dal solaio si riscalda per effetto della mancata esposizione alle intemperie e del riscaldamento interno all’ abitazione. Col tempo il calore penetra in profondità ed il permafrost inizia a liquefarsi. Possono passare anni, magari decenni, ma poi lo scioglimento dello strato sottostante le fondamenta porterà inevitabilmente allo slittamento della struttura ed al suo possibile crollo.
Questi racconti sono tratti dal mio libro “Ventisette giorni e tre notti”, totalmente autoprodotto, corredato di oltre duecento fotografie a colori.
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