Notte buia, una delle più buie dell’ anno. E fredda. Ma dall’ oscurità sprizzano fuori dozzine di falò che rischiarano e riscaldano, ed attorno ad essi impazzano canti, balli e personaggi in maschera. E’ la notte dei falò di Nusco, in provincia di Avellino.
Si mangia e si beve come se non ci fosse un domani.
Siamo a quasi mille metri di altezza su un cocuzzolo circondato dai venti. Di giorno da qui si gode una vista stupenda sulla valle dell’ Ofanto che inizia ad allargarsi e sulle montagne dell’ Appennino meridionale.
Ma adesso è notte, la notte di Sant’ Antonio Abate. Colui che rubò il fuoco al diavolo per portarlo agli uomini, protettore degli animali domestici (maiale compreso); il santo che fa ritrovare le cose smarrite.
Davanti ad ogni chiesa, in ogni slargo e piazza del centro storico svettano enormi cataste di legna. Il 17 gennaio è la notte dei falò, o focaroni come si chiamano da queste parti.
Rito atavico, reminiscenza di antichi paganesimi che evocavano la luce in una delle notti più buie dell’ anno; rito di passaggio tra il buio dell’ inverno e la luce della primavera in arrivo, ed ideale accensione del Carnevale.
Negli anni passati, quando qui si viveva (chi ci viveva…) solo di agricoltura e pastorizia, questi erano i giorni in cui – mentre la campagna riposava sotto la neve – i contadini potevano osservare finalmente qualche giorno di riposo ed ozio mentre già si preparavano alle future semine che sarebbero avvenute col disgelo.
I fuochi rappresentano l’ acme di questo riposo forzato ma gradito, una fuga liberatoria ed effimera da una vita grama.
Il fuoco riscalda e scaccia le tenebre, rinforza la speranza che presto arriverà la primavera a spezzare questo freddo.
Fuochi liberatori come liberatorie sono le pantagrueliche mangiate e bevute che sono tradizione in questa notte.
Col passare degli anni la festa ha perso parte dei suoi caratteri arcaici e misteriosi, è divenuta tradizione che un po’ smonta il fascino; e poi è intervenuta la modernità, soprattutto sotto forma di mercificazione. Che non è poi neanche tanto da buttar via, considerato che ad ogni angolo di strada si vendono prelibatezze gastronomiche casarecce ormai scomparse dalle tavole di città.
A farla da padrone è il maiale, appena macellato e già pronto da gustare in mille diverse ricette, dalle salsicce ai cicoli.
Ma non sottovalutate il gusto del caciocavallo impiccato: una forma di caciocavallo viene appesa ad una corda che la fa penzolare a pochi centimetri dalle braci.
Il calore scioglie il formaggio che viene poi spalmato su pezzi di pane e mangiato così o condito con un po’ di olio al tartufo.
Se a leggere vi è venuta l’ acquolina, sappiate che in realtà è molto più buono!
Il clou è naturalmente di notte, ma è l’ intera giornata ad avere un’ atmosfera speciale, con la preparazione delle cataste di legna e l’ attesa festante.
I falò più grandi sono sempre davanti alla chiesa parrocchiale e davanti al municipio. Ma esiste una tradizione di competizione tra tutti i paesani a chi realizza il falò “privato” più grande e bello, e a chi imbandisce attorno ad esso le tavole più golose. Ci sono cataste di legna nei cortili davanti alle case ed in ogni piazzetta del paese.
E tutt’ attorno gira vino, si impastano laine (una pasta fresca simile alle tagliatelle ma un po’ più corte e spesse circa 3 cm) e si attende il gran momento in cui il fuoco scaccerà via il freddo ed il buio.
Qui, nei vicoli, lontano dalla folla, c’è più genuinità e meno commercio, e non è raro essere invitati per un bicchiere di vino o per qualcosa di più sostanzioso.
Mentre la sera cala l’ eccitazione monta: si attendono i fuochi d’ artificio che avvisano che il primo falò è stato acceso in modo che possano dare avvio al loro personale rito.
Poi, a notte fonda, sarà il momento delle mascherate e della folla di turisti venuti da fuori per mangiare e riscaldarsi davanti agli ultimi fuochi.
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