Dire che in Africa la vita è modellata sul ritmo della Natura suona ormai come un luogo comune; ma ci sono posti in cui la primigenia verità di queste parole ripetute troppo spesso si mostra in tutta la sua evidenza.
Jambiani è un villaggio di capanne e case costruite con legno e corallo fossile, in un angolo della parte sudorientale di Zanzibar.
Da qui in poi ci sono solo piste di sabbia dove arrancano ciclisti scalcagnati ed il Dalla-Dalla numero 309 che in un paio di ore effettua il viaggio di una quarantina di chilometri per Stone Town.
I tragitti dei tours organizzati non passano da qui. Lungo la spiaggia sorgono alberghi modesti, in buona parte di proprietà di gente del posto. Insomma qui il turismo non è ancora arrivato in forma tale da stravolgere i ritmi di vita, che sono regolati dai tempi della Natura ed in modo particolare dalle maree.
La striscia di capanne che costituisce Jambiani è lunga quasi cinque chilometri e si trova proprio a ridosso di una spiaggia bianca, orlata di palme da cocco. Davanti c’è la laguna corallina.
Gli abitanti vivono del mare. Gli uomini pescano a bordo dei loro dhow (che qui si chiamano ngalawas). Sono strette piroghe a bilanciere realizzate con tronchi di durissimo mango scavati con il fuoco, con le vele realizzate con tela di sacco. Donne e bambini si occupano invece della coltivazione delle alghe.
Sì, perché qui le alghe vengono letteralmente coltivate, in piccoli appezzamenti subacquei che assomigliano ad orti domestici, delimitati da bastoncini di legno con fili a delimitare lo spazio.
Ci vogliono tre mesi perché queste alghe brune e rossastre maturino, poi sono raccolte e portate ad essiccare lontano dalla linea della marea.
Per la gente di Jambiani non sono di nessuna utilità pratica.
Per mangiare hanno i cocchi, gli animali che allevano (capre, galline, mucche) ed il pescato procurato giornalmente dagli uomini del villaggio.
Il raccolto di alghe – dopo l’ essiccazione – viene invece spedito ad una vicina industria. Qui vengono confezionate e poi esportate in Giappone e Corea. Lì sono considerate una prelibatezza gastronomica. Un parte viene invece spedita a laboratori cosmetici sparsi nel mondo, che ne ricaveranno i componenti di creme e cosmetici.
E così un frutto della Natura che per i locali non ha assolutamente alcun valore si è trasformato in una delle fonti di sostentamento dell’ economia del villaggio.
Alghe, pesca: la sopravvivenza a Jambiani è affidata al mare e deve quindi necessariamente adattarsi al ritmo delle maree.
Da questo lato dell’ isola le coste di Zanzibar si affacciano sulla vastità dell’ Oceano Indiano; non c’è altra terra ad ostacolare il flusso delle maree tra qui e l’ isola di Sumatra, settemila chilometri ad Est.
Due volte al giorno, ogni giorno, le acque del mare si ritirano fino al limitare della barriera corallina, a centinaia e centinaia di metri di distanza dalla spiaggia. Lasciano allo scoperto un’ immensa estensione di fondo marino ricoperto di alghe, conchiglie, stelle marine e piccoli pesci che sopravvivono nelle pozzanghere.
Quando la marea è alta gli uomini partono per la pesca, ed il livello dell’ acqua permette loro di superare la barriera corallina ed avventurarsi in mare aperto.
Quando la bassa marea si verifica alla luce del giorno, la vita del villaggio si trasferisce quasi completamente su questa palude temporanea. Donne e bambini in compagnia di qualche anziano camminano per centinaia di metri sul fondo del mare. Si affrettano a sfruttare le ore concesse dalla marea per stanare dalla sabbia molle i vermi che serviranno da esca ai pescatori e per raccogliere conchiglie e molluschi che diventeranno la cena. Ma soprattutto sono tutti alacremente impegnati nella raccolta delle alghe mature.
Appena le acque invadono di nuovo la laguna, la vita del villaggio si trasferisce di nuovo sotto le palme ed all’ interno delle abitazioni; torna così l’ animazione tra le strade e le case del villaggio, che fino a quel momento sono rimaste il regno degli animali domestici, dei neonati e del vecchio guaritore di Jambiani, una celebrità nazionale, tanto che la gente di tutta l’ isola affronta un lungo viaggio solo per ascoltare i suoi consigli curativi a base di erbe e radici.
Intanto i pescatori iniziano il loro ritorno verso casa, con le piroghe cariche del pescato del giorno.
Le maree notturne, invece, passano nel silenzio immobile del sonno del villaggio; solo raramente – alla luce pallida della luna piena – si intravede una figura solitaria china verso terra; forse un ritardatario o un insonne.
Ma qui all’ Equatore i giorni durano sempre dodici ore e c’è sempre almeno un periodo di bassa marea illuminato dal sole, quando la vita del villaggio si sposta completamente qualche centinaio di metri più ad Est, lì, sul fondo scoperto del mare.
Voglia d’ Africa? Un’ altra bella storia è qui.
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