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Nei suoi soli tre secoli di vita, San Pietroburgo ha cambiato spesso nome e faccia. Ha acquisito e perso lo status di capitale. Ha adattato il suo nome alle ideologie imperanti. E’ stata laboratorio di nuove sintesi architettoniche.
E tutte queste stratificazioni storiche sono perfettamente visibili nel tessuto urbano della città.
San Pietroburgo nasce nel 1703. Nasce neoclassica e capitale con il suo nome di oggi, ma olandesizzato in Sankt Piter burkh. Perde il rango di capitale nel 1728, ma lo riacquista nel 1732. E’ ancora capitale nel 1853. E’ l’ anno in cui viene pubblicata una raccolta di novelle di uno scrittore proveniente dalle remote province ucraine dell’ impero. Uno sconosiuto che si era trasferito nel 1828 a lavorare nell’ immensa burocrazia statale, Nikolaj Vasil’evic Gogol’. I Racconti di Pietroburgo sono uno spaccato vivace ed in bilico tra realtà e fantasia della città e dei suoi abitanti, nobili, borghesi dalle alte aspirazioni e burocrati.
Questi ultimi in genere vivevano nelle zone immediatamente circostanti il Palazzo d’Inverno e l’ Ammiragliato. Gli uffici governativi erano quasi tutti lì.
Ma, una volta raggiunta l’età pensionabile, venivano inevitabilmente espulsi verso zone meno centrali della città, dove cercavano di trascorrere dignitosamente gli ultimi anni della loro vita.
Molti di questi ex impiegati statali ed ex militari si concentravano nel quartiere di Kolomna.
Tutto qui è diverso che negli altri quartieri di Pietroburgo: qui non ci si sente né alla capitale né in provincia; ogni giovanile desiderio e slancio, senti che per le strade di Kolomna t’ abbandona. L’avvenire non si spinge fin qui, qui tutto è quiete e ritiro, qui si trova tutto ciò che s’è depositato dall’agitazione della capitale. Qui abitano impiegati a riposo, vedove, la gente modesta che ha da fare col Senato e che perciò s’è condannata qui per quasi tutta la vita.
In questo remoto angolo della città il tempo sembra ancora oggi scorrere più lentamente del normale.
I rumori della Prospettiva non arrivano fin qui, c’è poca gente in giro, poco traffico. L’ asfalto della strada è spaccato e nelle fenditure crescono erbacce anche se i ponti sono stati restaurati. Lungo i canali lampioncini in forma di piccolo obelisco di granito offrono illuminazione. I resti abbandonati di un mercato coperto danno riparo a qualche traffico illecito ed a coppiette in cerca di privacy. Tra gli edifici neoclassici, consunti e disperatamente bisognosi di restauro, spuntano le guglie verdi della chiesa ortodossa lituana e quelle dorate della chiesa di San Nicola.
Oltre Kolomna, allontanandosi dal centro della città, i palazzi ottocenteschi svaniscono. Si entra in una nuova dimensione urbanistica, un’ altra faccia della poliedrica identità di questa città. Il nostro giro per San Pietroburgo si trasforma in un giro per Leningrado. Un nome che è ormai un simbolo e fa tornare subito alla mente l’ Unione Sovietica ed il comunismo.
Il Moskovsky Prospekt, parte dalla dostoevskiyana piazza Sennaya (poco lontano da Kolomna) e viaggia dritta come un fuso in direzione – appunto – di Mosca. Tutto, lungo questa strada parla ancora Leningrado.
Ci si può arrivare in metropolitana, ma si perderebbe il passaggio dai quartieri centrali a quelli periferici, la transizione dal Neoclassico all’ architettura staliniana. Anche tram e bus collegano bene la zona. Ma per andare a curiosare tra questi vivissimi relitti di un passato così recente, meglio prendere una Marshrutka e poi chiedere all’ autista di farci scendere proprio nel punto che piace a noi. La strada è larghissima, falci e martelli sui frontoni dei palazzi (ma le stelle rosse le hanno rimosse). Nel mezzo di una enorme rotatoria un gigantesco monumento a Lenin ed agli eroi dell’ esercito popolare, più in là un altro in bronzo con contadini trionfanti e valorosi operai.
Continuando lungo il Moskovsky Prospekt e prima di abbandonare il tessuto urbano si costeggia l’ aeroporto. Da pochi anni non esiste più la possibilità di terminare la nostra visita ostalgica con il vecchio terminal 2 di Pulkovo. Era forse il più bel residuo architettonico sovietico: un colonnato neoclassico in mattoni giallastri, sormontato dalla scritta “Pulkovo – Aeroporto di Leningrado” (in cirillico, naturalmente!).
All’ interno, la sala d’ aspetto era un unico immenso salone, con poche file di poltrone dall’ aria scomoda, un soffitto altissimo ornato di affreschi di paracadutisti sovietici ed altre scene di guerra aerea.
Sulla parete in fondo, una cartina dell’ Unione Sovietica con tutti i collegamenti dell’ epoca.
Ma non di carta, di cemento; una specie di altorilievo, e le rotte erano fili di acciaio che collegavano le varie città.
Un effimero monumento ad un’ epoca passata, costruito per durare nei secoli, utilizzato solo per pochi lustri ed ormai scomparso sotto i colpi delle ruspe per lasciare posto al nuovo, moderno e tecnologico terminal, fatto di latta e plastica come tutti gli aeroporti del mondo..
Fine.
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