“Bella Gallipoli!”
L’ esclamazione è scontata appena racconti da dove sei tornato.
Bella, sì certo.
Ma quale Gallipoli?
La città nuova, quella dove la gente vive, con la passeggiata a mare, negozi e servizi?
O la Gallipoli vecchia?
Si forse quest’ ultima, vero.
Anche fuori stagione, però, l’ isola ed il dedalo di viuzze che portano verso il mare offrono sempre il meglio-peggio dello sfruttamento turistico.
O forse è solo il peggio: la strada principale è quasi impraticabile per la folla e le bancarelle; la cattedrale barocca è sommersa dall’ invadenza di venditori di spugne, pesci imbalsamati made in China e cavallucci marini che forse sono locali e sarebbero di certo più felici se potessero continuare a pascolare tra le loro alghe preferite.
Ma l’ immagine di Gallipoli è in chiaroscuro e basta perdersi nei vicoli laterali per scoprire angoli dove il tempo si è dimenticato di passare per le pulizie; il barocco polveroso degli antichi palazzi, il carparo – così facile da lavorare e così prono alla salsedine – delle venti e più chiese disseminate sull’ isola, sull’ orlo della terra, affacciate sul mare ma affogate tra le automobili parcheggiate.
E – girando – imbattersi nella magnifica scala barocca della biblioteca comunale. Un palazzo del Settecento, una chiesa del XV secolo. Tutto molto bello ma anche tutto molto chiuso.
I bar e i negozietti no, quelli sono aperti.
Se da una parte c’è dunque il centro storico, che vive di turismo e processioni, basta riattraversare il ponte il seicentesco, ed ecco il borgo nuovo di Gallipoli, città di terziario e di commercio.
Tra queste due Gallipoli vive poi, indipendente, la città dei pescatori.
La cesura tra questi mondi è un vecchio binario arrugginito che termina in riva al mare.
La stazione di Gallipoli Porto è abbandonata ed anzi è stata sfrattata.
Al posto della biglietteria c’è una pescheria con bancarelle piene di pesce, anche il più improbabile.
Qui inizia il regno dei pescatori, che hanno i loro ritmi e le loro scadenze e non sono disposti a negoziarli: sui moli rammendano le reti e dipanano i palamiti, riponendoli ordinatamente nelle loro coffe.
Qui la pesca è ancora un lavoro, le imbarcazioni non servono solo per la pescaturismo.
Ogni giorno, quando il sole sorge, c’è un viavai di barche di ogni dimensione che partono e tornano; e poi a riva li vedi, uomini di mezz’ età o oltre, scaricare il pescato o preparare gli attrezzi prima della partenza, intabarrati in ogni stagione con maglie ed impermeabili, perché all’ alba in qualsiasi stagione, sul mare fa un freddo cane.
Nel pomeriggio, quando i pescherecci ritornano, il mercato si anima: ricciole, orate, cicale di mare ed ogni ben di dio. I frutti di mare sono serviti crudi: un aperitivo coi controfiocchi accompagnato da un bicchiere di vino bianco freddo.
Quelli giovani, i figli dei pescatori, si sono fatti crescere i capelli ed hanno suturato la cesura tra le due città: hanno aperto un cocktail bar.
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