Sono passati quattro anni dall’ inizio della guerra civile in Siria. Giusto qualche mese in più da quando varcavo a piedi a Kasab il confine con la Turchia. Lasciavo il territorio siriano e mi addentravo tra quelle colline che oggi sono terra di nessuno. Occupate dai ribelli, bombardate dall’ esercito e – ogni tanto – anche dai Turchi.
Passeggiando per Aleppo ancora non sapevo che di lì a poco la linea del fronte sarebbe passata proprio dove stavo camminando. Tra gli stretti vicoli di pietra di Jdeide, incassati tra le alte mura delle case. Non immaginavo che le chiese cristiane ed ortodosse che sorgevano in pacifica miscelanza con le vicine moschee sarebbero state bersaglio dei mortai.
Tutto quello che ho raccontato nei miei precedenti post su quest’ angolo di Medio Oriente non esiste più, o quasi. La moschea degli Omayyadi di Aleppo, un gioiello architettonico, è stata un campo di battaglia. Il minareto, costruito nel 1090, non ha retto ai bombardamenti ed è crollato. La tomba del Profeta Zaccaria chissà che fine ha fatto.
Si sa benissimo, invece, che fine ha fatto l’ antico souq. Quindici chilometri di tortuosi vicoli e piazzette che risalivano al XIV secolo. E’ lì – tra la moschea e la Cittadella – che si sono sviluppati gli scontri più cruenti. Una parte è bruciata, il quartiere dei ramai è stato distrutto così come il quartiere dei commercianti armeni. Restano solo macerie e botteghe abbandonate.
E proprio lì, nel dedalo del cuore più antico di Aleppo, scoprimmo il Bimaristan Arghun, un antico manicomio, luogo di cura per gli psicopatici costruito anch’ esso nel XIV secolo, quando in Europa le persone con problemi mentali spesso le mandavano direttamente al rogo perché possedute dal demonio. Il Bimaristan era un gioiello di architettura araba, con i suoi delicati archi in pietra, le fontane, i diwan: un’ atmosfera attutita ed ovattata dove i ricoverati cercavano di calmare la mente. Era, appunto…
La linea del fronte adesso praticamente lo attraversa. Lì è terra di nessuno. E dove sono ora le persone che ho incontrato in quei giorni? Ho cercato, fino a poco tempo fa, di mettermi in contatto con chi avevo conosciuto: ad esempio il giovane archeologo che ci fece scoprire il Bimaristan Arghun; lui per qualche tempo ha risposto alle mie mail, ma sempre in modo algido ed impersonale. Non mi ha mai realmente parlato della guerra. Poi il silenzio.
Mai nessuna risposta invece dall’ incantevole hotel Mandaloun, con uno splendido patio e le camere accoglienti e tranquille. Era proprio ai margini del quartiere di Jdeida; di lì alla moschea degli Omayyadi ed al souq erano solo pochi passi. Oggi sarebbero impossibili, tra macerie e cecchini. Lo sa bene il proprietario di uno degli alberghi storici di Aleppo, il Baron, che ha ospitato diplomatici, spie ad Agatha Christie e che non vede più un cliente da anni: gli stranieri non vengono più ed i Siriani o combattono o cercano di scappare, non hanno tempo per andare in hotel. Lui se ne è fatto una ragione, e trascorre il tempo giocando a carte e coccolando i suoi gatti, in attesa di tempi migliori.
Neanche Ahmed, che per primo ci portò in giro nella città vecchia e fin sotto le mura della Cittadella ha mai dato risposta, tanto meno quel giovane che ci offrì un passaggio al valico di frontiera di Kasab trasportandoci poi in auto fino ad Antiochia ed offrendoci anche squisiti dolci turchi acquistati lungo la strada ad Yayladagi, e senza chiedere nulla in cambio. Ma a pensarci bene adesso, con il senno di poi, quel ragazzo incontrato alla frontiera puzza tanto di servizi segreti.
E che fine avranno mai fatto tutte le facce intraviste per le strade e che ancora restano nella memoria: lo stralunato importunatore di ragazze che incontravamo anche più volte al giorno e che era sempre pronto ad indicarci la strada giusta nel budello della città vecchia, sorta di angelo custode con una rotella mancante; il venditore di sapone della accogliente ed intima piazza al Hatab; il bimbo dagli occhi tristi che vendeva palloncini durante la gioia della festa dell’ ultima notte di Ramadan, la sua infanzia come quella di migliaia di altri piccoli strappati dalle loro case. E tutti quelli che nelle stesse notti di Ramadan ci hanno offerto cibo ed un sorriso. Ora che la linea del fronte taglia Aleppo a metà da nord a sud, che il centro storico della città, di una bellezza misteriosa e coinvolgente, è una rovina, chissà dove sono schizzate tutte le loro storie.
Ed, oltre Aleppo, le norie, immense ruote idrauliche, di Hama, da poco ricostruita dopo che nel 1982 era stata praticamente distrutta dall’ esercito a causa di un tentativo di ribellione al padre di Assad, Hafiz .
E poi Homs, città natale di Eliogabalo, forse il più folle e visionario degli imperatori romani, e Palmira: rovine romane piantate nel bel mezzo di un deserto giallo e dominate dalla mole arcigna di un castello medievale. Anche lì si è combattuto, morbida pietra millenaria contro i colpi dei cannoni. La Siria che conoscevamo non esiste più, e dopo quattro anni, la guerra non lascia intravedere alcuna speranza di pace.
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Anch’io ci penso spesso, a come gli anni e la storia cambino inesorabilmente e spesso crudelmente dei luoghi che hanno rappresentato molto all’interno dei rispettivi ricordi di viaggio di ognuno di noi… e che oggi purtroppo invece continuano ad esistere ahimè soltanto in quelli