Se Catelyn Stark di Casa Tully fosse stata la nostra guida alla scoperta del centro dell’’ Islanda, avrebbe presentato così l’ interno dell’ isola. Qui non ci sono più né case né uomini ma solo pecore e cavalli. I cellulari non hanno campo e le strade sono sterrati che si affidano alla clemenza del tempo e della lava.
Questo è il regno primigenio della natura, ancora imprevedibile e violenta.
Fjallabak
Al centro dell’ Islanda, la regione di Fjallabak è la seconda più grande area geotermale d’ Islanda ed il suo più grande giacimento di riolite. La riolite è una roccia di origine vulcanica che può assumere aspetti molto diversi a seconda di come viene eruttata e della temperatura della superficie sulla quale si posa. La grigia pietra pomice è riolite e così pure la nera e lucida ossidiana.
Brennisteinsalda
L’ onda multicolore del Brennisteinsalda si alza proprio in questa zona
Brennisteinsalda è un vulcano con un cono quasi perfetto. E’ un ottimo posto per apprezzare il polimorfismo della riolite. Qui c’è tutto il fascino dei colori minerali, che chiazzano un paesaggio altrimenti irrimediabilmente grigio. Il rosso del ferro, il giallo dello zolfo, la lava blu e nera. E come se non bastasse ecco altre aggiunte alla tavolozza. Il verde fosforescente dei muschi, con in fondo l’ azzurro dei laghi ed il bianco dei ghiacciai.
Dopo essere giunti in cima ed ammirato un panorama quasi extraterrestre, torniamo a valle.
Risaliamo un fiume che non ha più un corso fisso.
Nel 1783, durante la catastrofica eruzione del vulcano Laki la valle fu interamente riempita di lava. Da allora il fiume ha perso il suo letto. Precipita dall’ altipiano con una spettacolare cascata, per andare a disperdersi sulla pianura in basso, in una specie di intricato delta interno. Si fa strada tra la sabbia vulcanica e le rocce fino a definirsi in tre rami principali, che procedono quasi paralleli fino alla foce.
Magnus Stephensen nel XIX secolo fu avvocato e giudice in Islanda. Ci ha lasciato una cronaca scarna e precisa di quei fatti:
“L’ 11 giugno occorse un fatto straordinario che stupì molto tutti gli abitanti: il fiume Skafta, un fiume di una certa importanza che nasce dal ghiacciaio Skaftarjökull […] che nell’ inverno e primavera del 1783 aveva un notevole volume d’ acqua ed il cui corso ancora nei giorni 9 e 10 era ancora rapido e agitato, si prosciugò completamente, tanto che la gente potette attraversarne il letto per raggiungere a piedi luoghi che in precedenza potevano essere raggiunti soltanto in barca e con grande difficoltà.
La causa di questo rimarchevole fenomeno fu presto chiara: una terrificante colata di lava che si riversò a valle come un mare spumeggiante lungo la valle del fiume , provenendo da un luogo in mezzo alle montagne. La lava scorreva in un canale profondo fino a venti metri, ma presto lo riempì completamente e tracimò nei terreni circostanti per una vasta estensione su entrambi i lati della valle.”
Eldgjà, la gola di fuoco
Ancora prima, verso la metà del X secolo, qui la terra si spaccò e dalla fenditura sgorgarono chilometri cubici di lava che si sparsero nel territorio circostante e arrivarono fino al mare. L’ eruzione durò otto anni. Quando terminò lasciò in eredità un oceano di magma che andava solidificandosi, e l’ Eldgjà, il cratere da cui tutto era iniziato. Ma non immaginate un tipico cratere vulcanico. Si tratta piuttosto di un’ immensa spaccatura della crosta terrestre, la più grande fenditura vulcanica del mondo. Lunga 30 chilometri, profonda 150 metri, larga in alcuni tratti fino a 600 metri, fiancheggiata da monti brulli. Un territorio inospitale ed aspro.
Eldgjà significa gola di fuoco, ma il nome non si riferisce tanto a ciò che essa ha eruttato e che nessun essere umano ha mai visto e raccontato. Si riferisce soprattutto al suo colore attuale. Infatti le pareti di questo canyon hanno un colorito rossastro, dovuto ai minerali di ferro contenuti nel magma solidificato.
Ora, a distanza di oltre mille anni dall’ eruzione, la valle è solcata da ruscelli e cascate, ma l’ asprezza del clima e del terreno ancora non hanno permesso la nascita di una vera vegetazione. Solo muschi e licheni e radi spiazzi erbosi nei pressi dei corsi d’ acqua.
Il trekking è faticoso, i piedi affondano nella sabbia vulcanica; qui le colline sono ammassi di lava e le montagne sono vulcani.
E quando si torna finalmente in pianura, contenti per il cammino più agevole, scopriamo l’ inganno: siamo in una vera e propria palude, dal fondo sabbioso e molle e con tanti piccoli corsi d’ acqua da guadare. E’ il fiume che ha perso il suo letto che torna a visitarci.
Bagni termali a Strutslaug
Il percorso si fa incerto, non c’è un sentiero segnato ma solo una direzione da seguire ed un traguardo da raggiungere: le pozze geotermali di Strutslaug.
Le pozze sono alimentate da acqua che sgorga dal suolo, ad una temperatura tale che ci lesserebbe in pochi minuti. Inizia a raffreddarsi mentre scorre verso la prima delle due piscine naturali, che sono poste su livelli leggermente differenti. Quella più in alto è più calda, a temperatura quasi insopportabile (chi vi si immerge ne esce tutto rosso fino al collo) ma più pulita.
La pozza più in basso raccoglie tutte le alghe morte trascinate dalla corrente (le acque sono infatti ricche di sali e minerali e questo favorisce un intenso sviluppo algale), ma la temperatura è leggermente più bassa, intorno ai quaranta gradi, ed è piacevole immergersi.
Stando seduti ci si trova nell’ acqua fino a metà dorso e se si ha freddo basta calarsi un po’ per ritrovarsi completamente avvolti da un piacevole tepore e pensare che in fondo sarebbe bello potersene restare qui per tutto il tempo che resta, magari anche per tutta la notte.
Questi racconti sono tratti dal mio libro che racconta un lungo viaggio estivo verso Nord: Islanda, Groenlandia e Russia. Se vi piacciono, provate a fare click sul bottone qui sotto!